La Patria degli Italiani

 

In occasione del 50° anniversario del 5° Corso Allievi Ufficiali di Complemento (Lecce, marzo 1950) mi sono incontrato a Chianciano Terme con gli allievi della mia compagnia per riconoscerci anche nel ricordo della fede nell'ideale di Patria che ci animava. Nella circostanza ho voluto intrattenere i commilitoni di un tempo proprio su "La Patria degli Italiani", con l'auspicio che tale sentimento possa continuare ad accompagnarci.
Infine ho ritenuto di farne oggetto di conversazione e di dibattito anche con altri amici, visto che il tema è tornato di attualità grazie anche al Presidente della Repubblica.

L'escursus che segue non pretende di avere il pregio dell'originalità, ma risponde alla felice immagine di Gargallo "il cammello di Clio", la musa della Storia, con il suo carico di notizie raccolte a mano a mano per contribuire a ritrovare "il pensiero d'amore e il senso di comunione" di Mazzini, come una presa di coscienza per cercare di capire le cause dei problemi che caratterizzano il nostro momento storico. Con la speranza che si sia alla fine di un ciclo vichiano. Per cui è necessario entrare dentro il tema, per un recupero non retorico del concetto di Patria, mediante un "patto con la verità" secondo la crociana contemporaneità della storia, con la capacità di leggere le situazioni e perché no, di prevederne i possibili sviluppi. Ricordandone la definizione data da Mazzini:"La Patria non è il territorio: il territorio non è che la base. La patria è l’idea che sorge su quello: è il pensiero d’amore il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio."
(Mazzini – I Doveri).

A riguardo è indicativo il convegno, di alto livello, organizzato a Firenze nel mese di febbraio 2001 dal Gabinetto Vieusseux dove è stato posto l'interrogativo "La parola Italia, nel significato di Patria, è entrata davvero nel cuore di tutti gli italiani? Oppure viene ancora ignorata dalla maggioranza della popolazione?" Interrogativo rimasto irrisolto in nome di un generale pessimismo.

E non è mancata la critica al distacco delle élites culturali dal paese reale. A ragione merita di essere ricordato il pensiero di Pannunzio su "Il Saggiatore" del mese di marzo del 1933 sul ruolo degli intellettuali: "...Bisogna ridare agli intellettuali il senso della loro necessità, ridar loro la convinzione d’essere collaboratori e partecipi della vita comune ma non basta. Il problema più critico dei tempi moderni è quello della distribuzione e non quello della produzione della ricchezza, così nel campo della intelligenza il problema è la crisi dell’intelligenza. Bisogna convincersi che verte più sulla distribuzione, sulla circolazione e sul consumo che non sulla produzione…… da un lato gli intellettuali e da un lato l’opinione pubblica, che, se non consuma idee nuove diventa pericoloso soggetto di una società mostruosamente massificata, folla ottusa e angosciosa, disponibile a qualsiasi perversa manipolazione."

La Patria era un bene considerato acquisito, anche se alterato dal fascismo, ma compromesso dall' 8 settembre, non per la disfatta militare in sé (con episodi individuali e anche collettivi contrassegnati dalla sublimazione del sacrificio come: Porta S. Paolo, Salvo d'Acquisto, Cefalonia perchè il governo italiano del Sud ha ignorato sistematicamente la richiesta di aiuto e poi considerata una resistenza minore, comunque un episodio ingombrante come ha detto Sergio Romano) ma per come è stata vissuta, per la malattia antica che ha rivelato, appunto il difetto del pensiero d'amore e del senso di comunione sino a manifestarsi come "catastrofe morale" resa con efficacia dall'amaro film "Tutti a casa" con Alberto Sordi e dalla definizione di Malaparte dell' 8 settembre "un magnifico giorno in cui tutti noi, ufficiali e soldati, facevamo a gara a chi buttava più eroicamente le armi e le bandiere nel fango".

Momento terribile del quale sono stato giovane testimone attonito a Spoleto, quando i soldati con le lenzuola annodate si calavano dalle finestre della caserma per fuggire e la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento si dissolveva in un battibaleno. Ma l'episodio più significativo è rappresentato dall'operazione "Giant" ossia il previsto ma mancato avio-sbarco di una divisione alleata a Roma, in quanto, quando i due ufficiali alleati sono giunti a Roma per concretare l'operazione, il Generale Roatta Capo di Stato Maggiore dell'Esercito non c'era, il Capo di Stato Maggiore Generale Ambrosio era in licenza a Torino per il trasloco dei suoi mobili e il Generale Carboni Comandante del Corpo di Armata Motorizzato, preposto alla difesa della città, in un primo momento non si fa trovare per poi mentire dicendo che gli aeroporti erano già controllati dai tedeschi. E non era vero.

Tanto che nel pomeriggio del 9 settembre nell'aereoporto di Pescara, si sono riuniti nell'ufficio del Comandante il Re e il suo seguito, giunti percorrendo la Tiburtina, per discutere sul come proseguire il viaggio se in aereo o con una corvetta fatta arrivare dall'Ammiraglio De Courten a Ortona. Tesi che è prevalsa. Ma pare che proprio in questa occasione il Principe Umberto abbia esternato la sua decisione di tornare nella serata stessa a Roma in aereo, visto che i tedeschi erano ancora indecisi se lasciare la capitale o meno, tornare anche per lanciare un messaggio agli Italiani, particolarmente ai soldati lasciati in balia di sé stessi. Sembra che il Re in un primo momento abbia taciuto e soltanto dopo la violenta opposizione di Badoglio, Acquarone e della Regina (comprensibile come madre), abbia decisamente bocciato il proponimento del Principe. Comunque la decisione di partire per mare è stata determinante altrimenti l'aereo del Principe avrebbe potuto autonomamente atterrare a Roma.

Ed è questo nella sua essenza il racconto di un momento così drammatico che ci offre con il suo Diario (inedito) il Colonnello dell'Aereunatica Conte Francesco di Campello, più volte decorato al valore militare, aiutante di volo del Principe Umberto e suo compagno di giochi da bambino e suo fedele consigliere in quella decisione, che era pur nell'animo del Principe Ereditario e che avrebbe potuto cambiare il corso degli avvenimenti. Coscientemente il Conte Francesco conclude il passo del suo diario con queste parole: "la Storia dirà se sarebbe stato meglio o peggio". Io ritengo, senza avere la presunzione di farmi interprete della Storia, che sarebbe stato meglio, nella considerazione che una convinta consapevolezza, anche se tardiva, del proprio ruolo da parte dei protagonisti della vicenda avrebbe consentito l'esaltazione del pensiero d'amore e del senso di comunione che avrebbe stretto in Uno tutti gli Italiani.

Infatti la condotta del Re, tesa a salvare la sua famiglia e la monarchia, non ha certo salvato la Patria avendo cessato di agire da Re, verificandosi così l'evento improbabile ipotizzato dal fisiocratico francese Le Mercier de la Rivière nel 1767 di una delegittimazione della figura del Sovrano, morale nel nostro caso, dal momento in cui cessasse di agire da Re. Per non parlare della lungimiranza del Savoia di accantonare buona parte della sua fortuna a Londra. A differenza del tanto ironizzato Francesco II di Borbone, che sul punto di lasciare la capitale nel 1860, alla richiesta di prelevare i suoi soldi dal Banco di Napoli ha risposto: "io sono il primo cittadino e i miei soldi rimangono a Napoli".

Anche la Germania e il Giappone sono stati sconfitti (i Giapponesi si sono presentati alla firma dell'armistizio in tight mentre gli Italiani con il generale Castellano in borghese) ma nella tragedia finale hanno mostrato quei tessuti istituzionali e quel senso profondo della comunione che, con la loro capacità di imporsi a tutti ridando così forza al senso dell'Appartenenza. In particolare il Giappone è stato definito nel tempo un "paese divino con un imperatore al centro". E la Germania da una pluralità di Stati ma, forte di una solida tradizione amministrativa, il Cameralismo, e una filosofia comune - tanto che il calabrese F. S. Salfi l'ha presa a modello per il suo progetto federativo per l'Italia nel 1821 - ha vissuto un sentito travaso nell'unità potendo così sopravvivere nel 1945 al totalitarismo. Per cui oggi l’aforisma di Von Clausewitz può essere aggiornato in "l’economia è la continuazione della guerra con altri mezzi".

Mentre in Italia, dopo un primo momento che doveva essere di rifondazione "ubi libertas ibi patria" il senso di comunione, di appartenenza nazionale e patriottica è venuto meno proprio nell'ultimo cinquantennio repubblicano. La causa è da ricercarsi in una cultura riduttiva sia cattolica che marxista, unite nell'illusione di conciliare esigenze di ordine opposto, in una ripulsa antistorica per concetti come "Patria e Nazione", sottovalutando il nazionalismo come forza indipendente ma privilegiando esclusivamente l'antifascismo come sinonimo di democrazia, se non demonizzando la terza via quella liberale di una democrazia liberale secondo il pensiero di Alexis de Toqueville e di Guido de Ruggiero. Tanto che il 31 dicembre 2000 il Presidente Ciampi, nel suo messaggio alla Nazione, ha inteso spostare le lancette sul quadrante della storia dal 25 aprile 1945, come momento esaltante della Liberazione, al 2 giugno 1946, momento fondante della Repubblica, nella ricerca di un più ampio senso di comunione "per riconoscersi nei valori condivisi".

Ed è appunto il progressivo manifestarsi delle debolezze della nazione e dello stato che ha indotto alcuni studiosi ad affrontare il tema de la morte della Patria essendone venuto meno lo spirito, soprattutto nella constatazione della carenza di una religione civile e di un'etica repubblicana, intesa come una speranza tradita. Quindi una posizione assunta "non contra sed ad societatem". Tra gli altri: Rosario Romeo, Galli della Loggia, Dino Cofrancesco, Gianenrico Rusconi, Renzo De Felice, Emilio Gentile suo allievo. Dal canto suo, il 4 ottobre del 2000, "Liberal" ha auspicato "Ripartiamo da Einaudi e De Gasperi" ispiratori di quel sacro fuoco della libertà che ha permeato la ricostruzione. Il crollo del muro di Berlino nel novembre '89 con la messa in crisi delle ideologie, avrebbe dovuto rappresentare la riscoperta dei valori liberali con una rivoluzione silenziosa e laica, capace cioè di un approccio pragmatico ai problemi. Ma non è stato così. Perchè sono sopravvissuti i dogmi antiborghesi che non rispondono alla domanda di cambiamento che viene dalla società e dalla storia. Nel '93, anno del terrore giustizialista, non vi è stata una offensiva per l'affermazione del giusto processo, nella difesa dello stato di diritto, distinguendo fra singoli reati e criminalizzazione di una classe dirigente. Prima, nel '78 le dimissioni del Presidente Leone vittima della degradazione della competizione politica.

A questo punto ritengo necessario procedere con una analisi per sommi capi delle istituzioni più rappresentative della nostra società e dei momenti più significativi che l'hanno caratterizzata


FAMIGLIA

Vi è stata una crisi dei legami affettivi e del suo retaggio di depositaria della saggezza tradizionale e in molti casi un complesso di inferiorità nei confronti dei figli che "hanno studiato" ha reso i genitori troppo disponibili con la conseguenza di "bambini sempre più cattivi e volgari" secondo il rapporto dell’ Eurispes del gennaio 2001. Ma c’è anche da dire con il Professore Veronesi dei "peccati di omissione nei confronti dei figli", per cui in molte famiglie la solitudine dei giovani non ha trovato ascolto. Dal canto suo Scaparro, psicologo, avverte "Bambini web. Genitori siate severi". E in Francia si sta tornando all’autorità paterna. Mentre la droga paradossalmente ha trovato un suo "Inno alla droga scandalo a Domenica In" come ha scritto il Corriere della Sera del 12.2.2001.

A Novi Ligure è accaduto che i due ragazzi assassini hanno incorporato l’"etica della circostanza, tutto è possibile anche la violenza". Per un impulso interno che non può essere colto razionalmente. Ma, con una visione affrettata dei fatti si rischia di dare vita a una realtà virtuale: si può uccidere e tornare indietro. Ilvo Diamanti sul Sole 24 ore ha preso spunto dall'episodio per allargare l'analisi parlando di "figli invisibili di una società sterile...della ... paura di scoprire che il male è parte dello stesso mondo in cui viviamo...che si è logorato il controllo sociale e comunitario sul territorio... tanto che ...non ci riconosciamo più. E per paura, vorremmo marciare con la testa girata indietro."


SCUOLA

C'è una carenza della cultura di base.
Secondo Turgot (fisiocratico francese per la difesa della proprietà e del libero mercato animato dal principio che non può esserci nessun diritto senza doveri e nessun dovere senza diritti) la religione è l’istruzione pubblica che Rousseau chiama religione civile con la fede nell’educazione e nei suoi mezzi. Perché è la scuola a dovere insegnare che esiste il Vero ed il Bene e a rendere ciò credibile con le parole e l’esempio di chi vi opera dando dignità allo studio. In virtù di una forza morale interiore in grado di assicurare una assidua educazione morale per evitare che gli allievi diventino spettatori passivi della vita per un comodo egoismo, paura, debolezza, passività, e manchino appunto del senso di comunione e, nella convinzione che la virtù paga e perché no, rende felici.

Negli Stati Uniti è la scuola che fa da convalidatrice della tradizione tanto che tutti i giorni i bambini giurano, in piedi e mano sul cuore, fedeltà alla bandiera. Recentemente Panebianco ha detto che "la scuola ha in larga misura bandito l’idea stessa di disciplina. Poi c’è il vizio peggiore di tutti: l’incapacità della classe politica di togliere ai sindacati il ruolo che essi hanno nel governo della scuola", più avanti parla di "un governo occulto, una alleanza praticamente indistruttibile tra certi sindacati della scuola e certi funzionari ministeriali culturalmente omogenei ai sindacalisti, più un codazzo di pedagogisti nella vesti di intellettuali organici, che è stato capace di sopravvivere al crollo della prima repubblica ed è in grado anche di sopravvivere a qualunque maggioranza".

Una conferma ci viene dal mistero sulla scomparsa della proposta sui cicli di storia preparata dal Ministro dopo le critiche di gran parte degli storici, per cui Belardelli sul Corriere della Sera del 3 marzo parla "di una lobby all’ombra del ministero". Mentre sullo studio delle lingue morte merita di essere ricordato il pensiero di Gramsci:"Si studia il greco e il latino per conoscere direttamente la civiltà moderna cioè per essere sé stessi e conoscere sé stessi consapevolmente".

Gli Stati Uniti, grazie appunto all’attenzione sempre dedicata alla scuola (e il Presidente Bush l’ha indicata come il primo obiettivo del suo governo) sono riusciti, rimanendo fedeli ai sacri principi dei padri fondatori, a superare la recente crisi di credibilità. E a rappresentare ancora il punto di riferimento della democrazia come a metà ottocento ha fatto Alexis de Tocqueville con la sua "Democrazia in America". Sergio Romano ha sottolineato come il Presidente Bush Jr. ha preso possesso della sua carica "rifacendosi a sentimenti patriottico-religiosi esprimendo nobili sentimenti nazionali. E’ stato uno straordinario spettacolo politico dove ha vinto ancora una volta il sistema costituzionale americano, vale a dire il sentimento di rispetto e fiducia che lega il paese alle istituzioni. Una lezione per l’Europa".

Inoltre Panebianco ha voluto porre in evidenza un fenomeno preoccupante: "chi frenerà la lobby dei bocciati?" in relazione alla pretesa degli studenti respinti ai test d’accesso ad alcune facoltà universitarie, di poter benficiare di una sanatoria per cui "gli immeritevoli di oggi impediranno l’iscrizione ai meritevoli di domani".

Dal canto suo De Rita, segretario generale del Censis, nella constatazione che c'è un diciottenne semi-analfabeta su quattro ha detto: "Tutta colpa della scuola. E' un parcheggio per insegnanti". Ma va aggiunto che il merito degli insegnanti non viene privilegiato anzi viene considerato discriminante come appare da una recente sentenza del TAR del Lazio, tanto che Belardelli sul Corriere della Sera ha titolato "Se il merito non riesce a fare carriera" contro il principio sancito nel 1789 dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e dei Cittadini. Per cui non si può parlare di insegnanti missionari se non li si inserisce nel sistema delle professioni intellettuali, dando appunto forza e contenuto al merito.


IL '68 e le Brigate Rosse

Il '68 è stato una finta rivoluzione che ha avuto in Italia conseguenze diverse rispetto alla Francia, dove quella rottura generazionale è servita per rigenerare il sistema che sognava di abbattere. Perchè in Francia la cultura ha permeato di sé i costumi e ha caratterizzato la politica assumeno il ruolo di un potere spirituale parallelo o rivale rispetto a quello della Chiesa, come ci dice Fumaroli sul Il sole 24 Ore. Quindi forte di un patrimonio di libertà del secolo dei lumi con l’ottimismo di Condorcet ma anche con la giustificazione della costrizione e della tolleranza, ha potuto rifarsi al grido di Helvetius "chi tollera gli intolleranti si rende colpevole di tutti i loro crimini", nella constatata necessità di un catechismo di un credo minimun alla maniera di Rousseau.

Mentre in Italia la rivendicata libertà totale ha portato all’intolleranza e "ha innescato una paludosa agonia politica" in un clima di indifferenza verso l’intollerante. Dando vita ad una cultura della trasgressione, con la confusione fra assemblearismo e democrazia tale da rendere il "male" banale trasformandolo in una norma e compromettendo i valori della tradizione, del senso dello Stato e della comunione affermando il presunto diritto di fare ciò che ci piace perdendo il senso del diritto di fare ciò che dobbiamo. La causa è da ricercarsi nella diversa reazione dello Stato e della classe dirigente, deboli e tentennanti, nell’immediato e negli anni di piombo. Sino a giungere alle Brigate Rosse in un clima di guerra civile seppure a bassa tensione, come ha detto Pellegrino nel libro-intervista "Segreto di Stato" (Einaudi, 2000), permeate da una superficiale cultura marxista–leninista con elementi di utopia cristiana.

E non hanno capito che con le lettere di Moro, ben lontane dalla Sindrome di Stoccolma, avevano già vinto perché il loro contenuto era tale da compromettere il fronte borghese contro cui combattevano. Inoltre, sempre secondo Pellegrino, Moro è stato un "doppio ostaggio per sé stesso e per i segreti di sua conoscenza": per poi sollevare il velo sulla penetrazione delle B.R. nella società italiana e riferisce le parole di Maccari (uno dei quattro carcerieri di Moro) "So con certezza che oggi vi sono persone, magari giornalisti o sindacalisti che ricoprono incarichi importanti, che allora tifavano ed erano onorate di avere in casa il cavaliere impavido. Il terrorista, il guerrigliero era una figura affascinante, romantica, ovviamente in quegli anni. Vi sono anche filosofi e sociologi, insomma, l’intellighentia di sinistra...". Sino a giungere al severo giudizio sulla responsabilità dei politici nelle stragi. E dice: "politicamente si è responsabili anche di ciò che non si sa, se si aveva il dovere di sapere; anche di ciò che non si è voluto, se si aveva il dovere di impedirlo". Alla ricerca della denudata veritas per fugare il fantasma del Burrattinaio nascosto.


GUERRA DEL GOLFO (1991)

Nella circostanza, Giuseppe Are professore di storia contemporanea presso l’Università di Pisa, ha scritto "La patria chiama il paese oscilla" un potente rivelatore di alcune debolezze fondamentali della nazione e dello Stato. "L’idea di nazione e l’orgoglio di uno stato nazionale degno di questo nome sono ancora fattori insostituibili non solo per tenere insieme l’Italia ma anche per farla funzionare meglio...".
"Ritrovare la patria fa bene all’Italia" e indica i fattori di crisi.

  • Uno è il peso delle culture di partito che interpretano tutta la realtà politica in funzione degli interessi di una singola fazione ignorando il punto di vista dello Stato.

  • Un altro è il carattere essenzialmente confessionale, illiberale, anti-occidentale e irrazionalistico di un certo cattolicesimo militante....

  • Il terzo è il carattere timido e difensivo della politica estera e del pieno radicamento nell’occidente, all’interno del partito che ha la responsabilità maggioritaria nella guida della Nazione.


  • Non è male ricordare quel Contrammiraglio italiano che si è improvvisamente scoperto pacifista! E al di là del caso particolare, va detto che non si può interpretare il cristianesimo con lo spirito di ozio ovvero di pietismo o indolenza in quanto nel cristianesimo non vi è nulla che impedisca l’esaltazione e la difesa della patria. Non per niente San Paolo in una lettera ai Romani ha detto che chi difende i giusti "porta la spada".


    SOMALIA (1993)

    Sul censurabile comportamento di alcuni soldati italiani, l’ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Goffredo Canino, si è dichiarato nauseato dagli orrori commessi dai soldati attribuendoli a un ristretto gruppo di uomini in divisa "schegge impazzite e prive di controllo". Ma si può aggiungere anche "prive di guida" e ha concluso "Abbandonate a sé stesse le Forze Armate sono sprofondate". Non per niente Macchiavelli ha detto "dove sono uomini e non esercito colpa è dè capi sicuramente". E sulla minore attenzione verso le forze armate Cossiga indica la responsabilità della DC "per la mancanza di una tradizione statuale" con il problema della formazione dei militari che realizzano l'auspicio di Luigi Russo, dopo la Prima Guerra Mondiale "Per il vero soldato il migliore atto di valore deve essere quello che non ha ancora compiuto".


    APPARATO DELLO STATO

    In Italia i capi non provengono da grandi scuole. Come in Francia è l'E.N.A., dove si realizza l’intreccio dell’esaltazione del concetto di democrazia con l’imperativo della più alta professionalità, per dare vita a una noblesse d’ État . Per superare quella che era stata la viva preoccupazione di Tocqueville quando nel 1841 diceva "la più grande malattia che minaccia un paese organizzato come il nostro è il graduale ammorbidimento dei costumi, l’abbassamento degli ingegni, la mediocrità dei gusti : è da questa parte che possono venire i grandi pericoli per l’avvenire". E dare così vita, con Joseph-Ernest Renan, al concetto di Nazione come "plebiscito di tutti i giorni che annoda comunione e tradizione".

    Sabino Cassese ha detto che la burocrazia è antiriformista, nella conferma di Max Weber che non aveva dubbi sulla potenza crescente della burocrazia grazie al labirinto normativo. Per curiosità, a Tolone sono stati istituiti dei corsi per scrivani pubblici per rendere accessibile il gergo burocratico. Ma va menzionato che nel progetto di costituzione della Repubblica Napoletana in merito ai doveri dei pubblici funzionari, si asserisce che "ogni pubblico Funzionario deve consecrare sé, i suoi talenti, la sua fortuna, e la sua vita per la conservazione e per lo vantaggio della repubblica". Repubblica che però è vissuta una sola primavera! Dal canto suo Papa Giovanni Paolo II in occasione del giubileo dei funzionari, ha detto che questi devono essere leali nei confronti delle istituzioni, ma "in nessun caso può divenire obbligante ciò che si pone contro la legge di Dio".

    Indubbiamente unicuique suum ed è il caso di ricordare che J.F. Kennedy, quando gli è stata trasmessa una nota nella quale il Vaticano avanzava riserve riguardo alle sue idee sui rapporti fra Stato e Chiesa ha avuto questa reazione: "Ora capisco perché Enrico VIII si sia fatto la sua Chiesa". Ma già Rosseau aveva detto: "Dando agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie li sottomette a doveri contraddittori e impedisce loro di poter essere nello stesso tempo devoti e cittadini".

    Ilvo Diamanti sul Sole 24 Ore ha sintetizzato nel titolo una sua analisi della situazione italiana "Un Presidente forte un Paese debole" ponendo in evidenza che esiste un solco tra i cittadini, le istituzione e la politica: mondi chiusi e incomunicanti. Possiamo aggiungere che una delle conseguenze, sotto gli occhi di tutti, è il pessimo stato delle ricerca scientifica, tanto che 1500 scienziati sono scesi in piazza per la libertà della scienza. Ma l'aspetto più grave è dato dalla constatazione che da parte dei funzionari, ai vari livelli statali e non, esiste una diffusa mancata consapevolezza del proprio ruolo, con la conseguente fuga dalle responsabilità, per la mancanza di un etica che caratterizza anche i super dirigenti.

    Il Ragioniere Generale dello Stato Monorchio ha criticato lo "spoil system all’italiana" dicendo: "si è fatto dipendere dalla nomina e dal gradimento del ministro di turno molte più posizioni amministrative rispetto a quanto avveniva tradizionalmente e in tali condizioni è quasi ovvio che il Direttore Generale si presti a indossare casacche colorate". Ed è tornato sul tema per dissentire dal recente accordo sui superburocrati auspicando una riconduzione alla legalità. Panebianco, dal canto suo, ha criticato le casacche colorate, ma anche quelle indossate nell’ultima ora. Per cui è il caso di ricordare che "Soltanto i governi possono innalzare o abbassare il livello delle nazioni" secondo Voltaire, ma "che sappiano dare vita ad un contenuto dialettico fra i valori assoluti che sembrano corrispondere agli interessi permanenti degli uomini in quanto tali e quelli che dipendono dalle concrete circostanze di tempo e di luogo" come aggiunge Montesquieu.


    GIUSTIZIA

    Ed eccoci a una istituzione fondamentale per la vita della Nazione.
    Due citazioni possono rappresentare l'essenza del problema: "Ho il terrore di un giudice che giudichi per fare giustizia e non per applicare la legge" di Piero Calamandrei (1889 – 1956) giurista, politico e fondatore della rivista "Il Ponte", fautore, senza fortuna, di una rivoluzione democratica. Ma rimane vitale il suo appello a recuperare il valore alto della politica come forte strumento di moralizzazione.

    Gaetano Filangeri, illuminista riformatore napoletano, nella sua "Scienza della legislazione" (1780) ha scritto:"L’innocente dunque deve essere spaventato dalla sua innocenza stessa". Frase che, a distanza di oltre duecento anni, mantiene caratteri di attualità. Dal canto suo Cossiga ha definito la legge Breganze, sulla riforma della magistratura, il più grande tentativo di corruzione fatto dalla DC. E un esponente della già DC, in occasione di una intervista apparsa su Il Giornale del 5.9.98 all’interrogativo che gli uomini di governo erano stati troppo impegnati a spartirsi i consigli di amministrazione delle banche e dei vari enti, trascurando la magistratura, la scuola e la cultura, ha risposto: "c’è ne siamo dimenticati, ecco tutto". Possiamo aggiungere che ci sono stati dei progressi nella vita civile ma non nel costume, nella prassi della vita pubblica e quel che più conta nel dibattito intellettuale. A causa di politici invecchiati nel potere persuasi di essere indispensabili finendo per confondere l'Italia con sé stessi.

    Aggiornando la nostra analisi possiamo vedere come in occasione della apertura dell’anno giudiziario del 2001 Montanelli abbia esclamato:"Montesqiueu chi era costui?" e Donatella Stasio sul Sole 24 Ore ha sottolineato che "una giustizia efficiente è una condizione essenziale per la competitività economica di un Paese, per la piena fiducia dei cittadini nelle istituzioni. L’Italia ne ha bisogno come del pane". E ha ricordato che in Italia vi sono ventottomila avvocati cassazionisti rispetto agli ottantasette della Francia. Inoltre, alla luce dei recenti casi giudiziari è emersa la necessità di ripristinare un più forte ruolo investigativo alla Polizia Giudiziaria - con la necessità di verificare di continuo la preparazione e la saldezza psicologica - oggi appiattita sul Pubblico Ministero che invece deve rientrare nel ruolo di parte imparziale, di attore nel processo e non di investigatore. Pubblico Ministero che, tra l'altro, è consapevole della intrinseca politicità del proprio potere (Ilvo Diamanti). Tanto che nel caso relativo a Marta Russo il Corriere della Sera ha paradossalmente titolato "Così la Corte ha assolto magistrati e investigatori". Il caso della contessa Vacca Agusta è stato caratterizzato da incertezze nella soluzione per il pressappochismo degli investigatori. Mentre a Novi Ligure l’avvio alla soluzione e avvenuto dopo il sopralluogo. Punto cardine di ogni caso giudiziario.


    LA PATRIA NELLA CULTURA

    Ora può essere interessante intrattenerci, anche se brevemente, sui momenti salienti dello sviluppo del concetto di Patria nella cultura.

    Dopo la pace di Aquisgrana del 1748 e la guerra dei sette anni (1756–63) con conseguenze nel nord America e nelle Indie, il sentimento di patria già patrimonio ideale della cavalleria e della nobiltà (come quando il Cardinale Richelieu è riuscito a superare l’universalismo cattolico per il patriottismo francese. Anche se Montesquieu lo definirà come uno dei peggiori cittadini di Francia, forse per la repressionone degli Ugonotti) si allarga e coinvolge il mondo intellettuale anche se in un clima di vago utopismo europeo, proprio del cosmopolitismo illuminista.

    Un esempio significativo ci è dato da Gian Rinaldo Carli (1720–1795) nato a Capodistria, di nobile famiglia, economista ed erudito, laureato a Padova che invia un suo articolo a "Il caffè" di Verri dal titolo "La Patria degli Italiani", che mi è piaciuto prendere in prestito per questo mio intervento. Articolo quale segno di un nuovo patriottismo che supera le divisioni politiche dell’Italia per fare prevalere un cosmopolitismo all’interno delle terre di tradizioni e di culture italiane. Patriottismo dei dotti che, mentre nel’500 era un patrimonio in scrinio pectoris degli intellettuali, ora comincia a divenire coscienza sociale. Nel ricordo di Leon Battista Alberti che da il modello delle virtù borghesi prima di Max Weber. A proposito ricordiamo un esempio quando nel 1717 Gaetano Argento (Presidente della Camera di Santa Chiara del Regno di Napoli, elogiato dal Croce per avere tolto gli studi napoletani dal vecchiume e dell'isolamento in cui giacevano, agevolando così, di lì a poco, la non facile opera dei riformatori) viene accolto nel patriziato cittadino di Cosenza, anche perché "la sua virtù è venerata da tutta Italia". Dimostrazione di una sensibilità frutto del nuovo spirito del secolo, cha da una Nazione di cultura aristocratica apre alla centralità della ragione e quindi alla cultura universale.

    Ma si fa anche strada la messa in crisi della religio regis in quanto si ritiene che solo nelle repubbliche sia possibile che l’idea dell’amor di patria diventi una specie di amor proprio in ogni cittadino fino all’affermazione del principio ubi libertas ibi patria. Di qui si elabora il concetto di Nazione "come un insieme di uomini che condividono la stessa lingua madre" (Turgot nel 1751) che non è la società di Burke o il popolo di Rousseau. Concetto di Nazione che si travasa in quello di Stato "un insieme di uomini riuniti sotto un solo governo" (Turgot) che non sarà quello etico di Hegel.

    Va ricordato che nel 1792 gli straccioni di Walmy contro il duca di Brunswich vincono al grido di "Evviva la Nazione!" perché ispirati dal mito ardente del principio della coesione consapevole tenuto a battesimo nell’89. Ma nel 1798 Napoleone andrà in Egitto con 160 scienziati per fare anche una conquista culturale, tanto che nel 1802 inizierà la pubblicazione dei venti volumi di erudizione "Viaggi nel basso e nell’alto Egitto". E vediamo come il concetto di Patria si sia permeato dal senso dell’onore- honor-honos-honus-peso. Come rifiuto di scendere a patti con ciò che è brutto, basso, volgare, interessato, come sentimento di quanti sono capaci di scelte difficili. Napoleone, dopo che con la grande rivoluzione vi era stato lo scontro fra onore e patria, opera un sincretismo fra le due sensibilità, tanto che da vita alla più ambita, ancora oggi, decorazione francese la "Legione d’onore". De Gaule, dopo la crisi di identità che aveva attraversato la Francia, riporterà i due sentimenti, Onore e Patria sotto la stessa bandiera. Ma non deve meravigliare che possa avvenire un contrasto fra Onore e Fedeltà, come nei casi di Caracciolo nei confronti di Ferdinando IV di Borbone, di Carlo Pisacane, a differenza del fratello Filippo, con Ferdinando II di Borbone e Valerio Borghese con Vittorio Emanuele III di Savoia.

    E saranno gli intellettuali illuminati soprattutto nel Regno di Napoli non più retto a provincia, per la Patria ritrovata con l’avvento di Carlo di Borbone, a dare vita a una stagione di riforme che si imporrà all’attenzione dell’Europa colta. Riannodando così il filo rosso con gli spirituali di Juan de Valdes a Napoli nel 1536. Nella consapevolezza della kantiana definizione dell'Illuminismo come l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso.Impresa ardua, se si considerino le enormi difficoltà che hanno incontrato dopo un lungo periodo vice-reale all’insegna del quieta non movere impegnandosi contro nemici numerosi e agguerriti a differenza dei riformatori lombardi che godevano della saggia amministrazione di Maria Teresa d'Austria, che si ritrovavano nell'Accademia dei Pugni per comunicare le proprie ricerche e sottoporle alla comune opinione, per poi preparare il placido passaggio al mondo della Repubblica Cisalpina secondo lo scenario che ci offre lo studioso dell'Illuminismo Franco Venturi. Quando invece i riformatori napoletani hanno lottato, combattuto e alcuni sono giunti alla sublimazione del sacrificio per la loro Repubblica. Vanno ricordati: il fisiocratico Abate Galiani, autore del saggio "Economia della moneta" e tramite per il concordato con la Chiesa nel 1741 per poi giungere alla abolizione nel 1788 del secolare omaggio feudale, la Chinea, pretesa dalla Corte Roma e poter avere così "un clero napoletano e non una colonia di Roma". Il Genovesi con la sua cattedra di economia nel 1762, la prima in Europa, di cui citiamo l' imperativo "non dovrà più esserci gentiluomo secolare od ecclesiastico che sia il quale dica sono nato per non fare nulla". Il Filangieri con la sua "Scienza della legislazione" dove "la vera scienza politica è la scienza non di ciò che è ma di ciò che dovrebbe essere". Il costituzionalismo di Pagano sino a giungere alla Patria dei Cittadini, dove la maestà della legge e dell’etica civile che la fonda, consente il godimento dei diritti e l’esecuzione delle pubbliche virtù, con la Repubblica Napoletana del 1799.

    Un evento dell’anima che ha avuto la consapevolezza di dovere produrre cultura per farla circolare. Iniziando così a dare concretezza all’interrogativo che i philosophes napoletani si erano posti nella riunione dell'8 ottobre del 1786, come ci racconta Venturi, "E' possibile educare il popolo?" Quel popolo più popolo degli altri secondo Montesquieu. Grazie a una istruzione pubblica che sola poteva rendere i cittadini consapevoli del proprio interesse. Tanto che Eleonora Fonseca Pimentel, che ha superato tutti gli uomini del suo tempo secondo l'efficace immagine dello storico Mario Battaglini, faceva tradurre in dialetto i provvedimenti del governo affinché potessero parlare al popolo. Novella "libertà che guida il popolo" mutuando la didascalia della suggestiva immagine della Grande Rivoluzione tramandataci da Delacroix.

    Sino a potersi esprimere più tardi in termine giuridico costituzionale con Salfi e Romagnosi (che è stato il primo nel 1833 a chiamare Risorgimento il movimento per la rinascita dell’Italia) ispirati dalla civilisation, come ricorda Gargallo, e dal liberalismo di Constant permeato dall’ Ésprit de Coupet, che non dimentica Sieyès e Turgot, nella dottrina del quarto potere quale potere neutro intermedio e preservatore per la tutela della libertà individuale in ciò che gli individui hanno diritto di fare e la società non ha il diritto di impedire. Per proseguire con Stuart Mill, Tocqueville, Pareto, Croce, Aron, Karl Popper con la società aperta e arrivare alla "libertà negativa" ossia assenza di interferenze da parte dello Stato come dice Isaiah Berlin e mi piace ricordare che, nella sua qualità di storico delle idee ha scritto che "la potenza individuale, l’onestà, la lucidità, il coraggio, l’amore disinteressato per la verità che caratterizzò i migliori pensatori del Settecento, rimane, fino a oggi, senza confronti. Creando una tradizione cui un gran numero di uomini deve oggi la vita e la libertà". Va sottolineato che oggi nel mondo cattolico si manifesta una certa attenzione ai temi della libertà dallo Stato. Come traspare dall’antologia curata da Dario Antiseri "Cattolici per il mercato" ( Rubettino editore). Con riferimento alla Scuola Austriaca di Von Hayak e Von Mises, ma con le radici della "Filosofia del diritto" di Rosmini, persuaso della necessità della proprietà privata dei mezzi di produzione, per ridare oggi vita a quel cattolicesimo liberale interpretato da Sturzo che nello scontro con La Pira è risultato politicamente perdente.

    Ma ritorniamo alla Repubblica Napoletana dove appunto è nata la prima idea dell’Unità d’Italia" secondo il concorde giudizio di Croce e Gentile per poi arrivare fra incertezze, soste e slanci all’appuntamento con la Nazione "soprattutto grazie al soliloquio di Cavour" (Gobetti). All’unità ma non all’unione, per l’assenza di un autentico spirito liberale e del supporto di un comune mito delle origini tale da creare il senso di appartenenza nazionale. L’antiqua virtus perché la memoria è appartenenza, identità, cultura e distruggere la memoria, la storia del passato è qualcosa di terribile per la società (Jacques Le Goff).

    In particolare non si può dimenticare che Farini, il luogotenente per l'Italia meridionale nell'ottobre 1860 ha così descritto i meridionali a Cavour "i beduini al confronto di questi cafoni sono fiore di virtù civili", manifestando così la mentalità coloniale del conquistatore e non del liberatore. Conquista che non ha saputo accellerare il cammino per mutare i radicati atteggiamenti isolazionisti per rifiutare l’atavico fatalismo e per fare nascere e diffondere la fiducia nello Stato frutto del senso di comunione, presentando, nel migliore dei casi, al giudizio della storia "degli onesti" ma "agitatori della bandiera del nulla" secondo l'amara constatazione di Giustino Fortunato. Non per niente, in un contesto più ampio Cattaneo ha criticato certi comportamenti riduttivi:"non siamo servi degli stranieri ma di una minoranza retrograda". Ma anche gli intellettuali sono rimasti chiusi in sé stessi e al di là degli aspetti umanistico-letterari sono giunti in maniera incerta all'appuntamento con il tema della Nazione e non sono riusciti a dare origine a una reale consapevole coesione nazionale, valorizzando e "imponendo" la tradizione culturale del Sud quasi per una mancanza di autostima.

    Ricordiamo anche le tensioni in Lombardia e in Liguria contro l’annessione al Piemonte, il cosiddetto brigantaggio in Italia meridionale, la rivolta a Palermo nel 1866 e i fasci siciliani del 1893–94. Un tentativo di rivalsa si è avuto con Crispi che si è sentito investito della missione di giungere alla unificazione morale ma è stato travolto dagli scandali e dalla sconfitta di Adua.

    Sergio Romano, sulle polemiche che caratterizzano il Risorgimento ha detto che "resta un patrimonio storico da non dimenticare. Nulla di più". E sulle strumentalizzazioni che lo caratterizzano ha scritto con amarezza "Se ne avessi il diritto darei al Presidente della Repubblica un consiglio. Non creda a tutti quelli che cantano intorno a lui l’inno nazionale: molti lo cantano soltanto con la bocca". Patrioti a posteriori. Pellegrino dal canto suo dice che l’Italia è "un paese che non ha mai avuto una autentica coscienza nazionale". Nel periodo post-unitario il riferimento alla patria, ma più incentrato nel Sovrano che nella Nazione, è stato appannaggio delle classi superiori come una specie di questione di famiglia, ma gestito dal mondo militare, mentre il popolo ne è rimasto lontano dando vita alle tensioni sociali del fine ottocento.

    Tanto che Adolfo Omodeo, nel 1912, ha invocato una guerra civile per creare una nuova patria, per cui si può parlare con De Felice di una mancata nazionalizzazione delle masse. Sino a quando con la Grande Guerra è avvenuto l’affratellamento nelle trincee nel nome della Patria soprattutto dopo Caporetto, con la leggenda del Piave oggi quasi dimenticata. Il fascismo ha colto l’importanza di quel momento storico senza però riuscire a dargli il senso di comunione, perché portatore di valori diversi da quelli liberal nazionali . E il mito di Roma è stato più di facciata che fortemente sentito culturalmente. Puntava alla vittoria per fascistizzare l’Italia contro lo spirito borghese, tornando alla sua primitiva irrisione della democrazia liberale. Recentemente a Nizza Chirac ha detto "italiani i più europei" . Forse perché poco animati dal senso della nazione si sono rifugiati in quello dell’Europa. Ma è bene ricordare con Sergio Romano che tocca all’Europa rendersi conto che l’euro per quanto importante non può sostituire una bandiera, un esercito, una politica. E va anche detto che l'idea di Europa contiene sin dall'inizio una certa dose di nazionalismo frustrato.


    PER CONCLUDERE

    Indro Montanelli nel suo lavoro con Mario Cervi "L’Italia dell’ulivo" (1995–97) colloca un post scriptum: "dolcemente...in stato di anestesia torneremo ad essere quella terra di morti, abitata da un pulviscolo umano che Montaigne aveva descritto quattro secoli or sono...L’Italia è finita o forse nata su dei plebisciti burletta come quelli del 1860–61 non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai quali abbiamo avuto la disgrazia di appartenere. "Per me non è più la patria è solo il rimpianto di una patria" .

    Ma è anche bene ricordarci di Leopardi, il poeta della sofferenza sul "come senza amor patrio non c’è società, dico ancora che senza amor patrio non c’è virtù". In definitiva, l’amore di patria può anche essere una illusione ma è a questa illusione che dobbiamo riferirci per rendere possibile ogni virtù. Grazie ad una religione civile (che come religione ha bisogno di una fede) ed una costante etica repubblicana, più di quanto lo possano un inno e una bandiera. Per superare disillusione e tristezza per le promesse non mantenute e le occasioni mancate. Che non si possono certo riscattare guardando indietro. E per opporsi al criterio di sostituire agli inflessibili, gli indecisi, gli inconsistenti i flessibili. Per rispondere alla domanda di cambiamento e avere una sempre migliore visione dell’Italia e di noi stessi recuperando quei valori che abbiamo perduti lungo il cammino.

    Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus.



    Manlio del Gaudio di Jueli

    Spoleto, 13 maggio 2001

     

    APPENDICE


    Sembra che la Storia odierna ci stia conducendo verso un sempre più necessario recupero del senso di Patria.

    Constatiamo infatti come il cammello di Clio, con i fatti di Genova nel mese di luglio e l'attacco terroristico contro gli Stati Uniti dell'11 settembre, si sia arricchito di approfondimenti e sviluppi ulteriori per alcuni concetti già trattati ne "La Patria degli Italiani", datata al 13 maggio 2001 la cui intenzione è stata quella di tracciare un percorso sullo sviluppo del concetto di Patria tra teoria e pratica, tra filosofia e storia.

    Ci siamo trovati, dal 13 maggio in poi, a convivere con gli episodi accaduti a Genova per la riunione del G8. Riunione offuscata dalla violenza di un movimento che inevitabilmente ci porta alla mente un altro grande movimento sofferto quale quello del '68.

    Abbiamo indicato il '68 come una finta rivoluzione, che però ha dato vita nel protrarsi del tempo a un clima di tolleranza verso gli intolleranti. Ieri come oggi quanto è attuale la frase di Giovanni Sartori " …dal '68 in poi si è affermata una cultura per la quale l'assalto alle forze dello Stato è democrazia e libertà mentre lo Stato è di per sé violenza e repressione" (C.d.S. 23 agosto 2001).

    E infatti dobbiamo ai fatti di Genova la rivelazione e la rilettura critica di questo movimento e il riconoscimento di ciò che possiamo sintetizzare con la citazione dell'articolo di Claudio Magris sul Corriere della Sera del 26 luglio : "Violenza , pericolo di assuefazione". Ci piace poi sottolineare il paradosso dei due filoni principali della protesta contro la globalizzazione, l'uno rappresentato dai cattolici e l'altro dai marxisti: i primi globalizzatori nel tempo.

    Abbiamo comunque sottolineato ne "La Patria degli Italiani" i ruoli svolti dal pensiero cristiano anche nel capitolo della "Guerra del Golfo", riferendoci a una interpretazione del Prof. Giuseppe Are che, focalizzando i fattori di crisi della mancanza di senso di Nazione e di Stato , indica non strategiche le debolezze di un certo cattolicesimo militante. Critica che ritroviamo nelle parole di Angelo Panebianco in un suo articolo sul Corriere della Sera del 30 luglio 2001 evidenziata come "mal d'occidente fra i cattolici" in cui asserisce che l'errore è stato quello di non dialogare in modo costruttivo sulla sorte dei poveri del mondo con quell'Occidente cui fa parte anche la Chiesa.

    Di certo con alcuni fatti, a partire dal G8, ci troviamo di fronte alle cattive politiche e gestioni che ci hanno visto sofferti spettatori. E tutto ciò ci riporta all'analisi sui funzionari dello Stato de "La Patria degli Italiani" : incerta gestione dell'ordine pubblico a Genova, tragedia all'Aeroporto di Linate, carenza dell'attività di intelligence sui terroristi islamici ambientati o di passaggio in Italia, sentenza sul Petrolchimico di Mestre: lontani dal plebiscito di tutti i giorni del citato Renan nell'analisi sui funzionari dello Stato, tutti questi cattivi fatti hanno finalmente "restituito questo Paese alla responsabilità della sua classe dirigente", così come ha scritto Giancarlo Santalemani sul Sole 24 Ore del 4 novembre 2001. Comunque qualche cosa sta cambiando visto che ogni anno gli alti dirigenti dello Stato saranno chiamati a rendere conto della loro produttività.

    Sul problema della Giustizia il messaggio di Pietro Calamandrei si è manifestato in tutta la sua attualità in occasione della sentenza sul Petrolchimico : "con la volontà di fare giustizia del P.M., ma con l'impossibilità di applicare la legge, perché non c'era, da parte del Presidente". Comunque si impone il costante ricordo puntuale e non approssimativo de Lo spirito delle leggi di Montesquieu , sul libro undicesimo capo VI: " Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore". Riferimento tanto più indispensabile e attuale quando c'è chi con supponenza grida: "Basta con questa storia della separazione dei poteri: è roba settecentesca!", come ci riferisce Santalemani, ma dimentica che "chi rinnega l'Illuminismo rinuncia all'educazione del genere umano" come ha ricordato 25 anni fa Jean Améry e trascura anche l'intervento del Presidente della Repubblica sulla separazione dei poteri.

    Nel capitolo introduttivo del "La Patria degli Italiani" abbiamo parlato degli intellettuali riuniti nei primi mesi del 2001 a Firenze al Gabinetto Vieusseux in un clima di pessimismo di fronte all'interrogativo su "la parola Italia nel significato di Patria". Ci sembra che con l'11 settembre gli stessi non hanno avuto un recupero patriottico per fronteggiare un avvenimento di eccezionale importanza che richiedeva un riferimento non approssimativo a una identità nazionale vera. Evidenziamo quindi e doverosamente l'intervento del Professore Marcello Pera su il Foglio n. 258 contro la cultura della resa e del piagnisteo di certo Occidente cui va ricordato che se la cultura occidentale ha prevalso nel tempo sulle altre è grazie alla "forza delle sue scoperte e delle sue invenzioni: la conoscenza, la scienza, le industrie, il benessere, i diritti, i codici, le istituzioni democratiche….e non dimentichiamo il concetto di tolleranza, di solidarietà, di integrazione che ci permettono di concedere diritti che altrove vengono negati, primo fra tutti la libertà di culto… le istituzioni democratiche le abbiamo inventate noi, non gli arabi che a queste fanno ancora resistenza…. Non ci siamo fermati ad Averroé…".

    Da parte nostra ripercorriamo sinteticamente il filone di pensiero che parte da Averroé, nato a Cordoba nel 1126 e morto a Marakesch nel 1198; commentatore per antonomasia di Aristotele, ha sostenuto che esiste un'unica verità, quella raggiunta dai filosofi con il loro rapporto di causalità. Ha respinto la teoria di Avicenna della derivazione del mondo da Dio per emanazione: il mondo è eterno come eterna è la materia. Ne è seguito un averroismo latini ma non arabo e nel '200 uno degli esponenti più significativi è stato Sigieri di Brabante, fiammingo nato nel 1235 e morto a Orvieto nel 1282. Sostenne che i rapporti fra fede e ragione non sono di contrapposizione ma vanno intesi come separazione nel senso che le verità razionali possono anche essere in contrasto con quelle rivelate, senza che ciò comporti la loro invalidazione. Pensiero non condiviso da Tommaso d'Aquino, fautore delle scientia conseguentiarium aristotelica per dare rigore di scienza alla scolastica, perché temeva di cadere in una sorta di doppia verità. Ma è vicino ad Avicenna. Ecco perché il fondamentalismo non combatto Tommaso ma Voltaire.

    Nel Rinascimento Pietro Pomponazzi (1462-1525) per diversi anni professore a Padova, con il suo aristotelismo materialistico ripreso da Alessandro di Afrodisia (greco, il maggiore commentatore di Aristotele nell'antichità fra il II e il III secolo) si pone in contrasto con la concezione scolastica dell'aristotelismo e individua quello che doveva tramontare ossia l'ipse dixit per cui l'autorità, sia essa rappresentata da Aristotele, dallo Stato o dalla Chiesa non dispensa alcuno dall'impegno critico della ragione.

    Nel '700 il tedesco Lessing (1729-1781) con Nathan il Saggio ripropone Averroé per idealizzare la coesistenza delle tre religioni monoteistiche a Gerusalemme sotto la protezione dei Cavalieri Templari.

    Arriviamo al pensiero liberale moderno per cui non possiamo dimenticare Benjamin Constant che con la sua conferenza pronunciata nel 1819 la Libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, tornata di attualità, con la quale evidenzia che gli antichi erano disposti a fare molti sacrifici per conservare i loro diritti politici e la parte che avevano nell'amministrazione dello Stato … sacrifici che trovano nella coscienza della propria personale importanza un ampio risarcimento che non esiste più, perso nella moltitudine, l'individuo non avverte quasi mai l'influenza che esercita per cui ne segue che noi dobbiamo essere ben più attaccati degli antichi alla nostra indipendenza individuale; difatti gli antichi, quando sacrificavano tale indipendenza ai diritti politici, sacrificavano il meno per ottenere il più, mentre noi, a fare il medesimo sacrificio, daremmo il più per ottenere il meno. Della dolce Rivoluzione così da lui definita accetta il principio ma è critico verso l'evento per le sue degenerazioni, come ci ricorda Pier Paolo Portinaio. Si ritrova nel giusnaturalismo moderno alla cui base c'è una presunzione di libertà che con quella di eguaglianza orienta il progetto politico della modernità verso un modello di società che si emancipa dai vincoli della gerarchia. E dopo incertezze e condizionamenti nel tempo fra socialismo e nazionalismo trova con la caduta del Muro di Berlino del 1989 il suo momento di rifondazione per porre la sua candidatura alla governance ideologica globale.

    Poi, come dimenticare che Francesco Alberoni sul Corriere della Sera del 26 giugno 2000 con preoccupazione aveva prefigurato il pericolo dell'intolleranza dietro il risveglio delle religioni definendo spettacolare quello islamico tanto che nel Corriere della Sera del 17 settembre di quest'anno ha potuto con amarezza parlare di quel ritorno della teocrazia che l'Occidente non capì. Per cui ci piace ricordare il tema della tolleranza religiosa che ritroviamo in due liberali molto particolari nei loro rapporti con l'America.

    Voltaire, che è stato uno dei primi ad accorgersi che in America stava maturando qualche cosa di nuovo tanto che nelle Lettere filosofiche del 1734 esalta il quacquero William Penn che in Pennysilvania ha elevato a principio il non perseguitare nessuno a causa della religione e di considerare come fratelli tutti quanti quelli che credono in Dio.

    E più tardi Alexis de Toqueville con la sua opera Della democrazia in America (1835-40) con cui compie un'analisi fondamentale delle peculiari libertà degli Stati Uniti e riconduce l'esistenza del suo regime democratico a due fattori: l'unicità del territorio e, appunto, quello religioso tollerante verso ogni confessione.

    Tempo fa è stato espresso l'augurio che i laici occidentali non si presentino come penitenti di fronte alla tendenza di porre in discussione il nostro attuale sistema economico e ideale. Indubbiamente hanno molto di che chiedere scusa, ma assai di più di che essere fieri. Certo si sta malissimo senza certezze ma con la certezza di un paradiso si prepara la strada dell'inferno. Per cui l'attualità di una governance ideale liberale è stat ripresa da Ferdinando Adornato in occasione del forum veneziano di novembre della Fondazione Liberal, riproponendo di tornare ai tempi di De Gasperi ed Einaudi. Quando popolari e liberali seppero unirsi, i vantaggi furono evidenti e storicamente decisivi".

    Dal versante liberale passiamo a quello, in fieri, della costituzione di un grande indispensabile partito social democratico, con l'osservazione di Paolo Franchi: "E non basta affermare che l'89, decretando la vittoria della social democrazia sul comunismo, ha azzerato la storia: perchè c'è anche una storia italiana con la quale bisognerebbe trovare la forza di misurarsi". Ma come ha precisato Galli della Loggia: "Il problema è che cambiare le identità politiche è difficile, molto difficile. Come tutte le identità, infatti, esse affondano le radici nella storia e cambiare il passato non è mai riuscito a nessuno".

    Sul dialogo con gli islamici recentemente Ferdinando Adornato ha detto che "non possiamo far finta di essere Arabi perché senza amore per la propria identità non è possibile nessun vero dialogo", e che la superiorità occidentale si fonda sulla democrazia politica, sui diritti dei cittadini".

    E Gaspare Barbiellini Amidei ha sottolineato che in Italia "c'è spazio per molte radici. Non c'è spazio per ospitare gente che voglia inneggiare ai nemici del nostro senso comune e delle nostre leggi. Senza una lealtà civica minima non c'è sicurezza e non si costruisce convivenza".

    Ma ora che ci avviamo al termine di questa appendice c'è un tema fondamentale che merita di essere esaminato, anche se in maniera sommaria, ma che deve continuare ad accompagnarci magari in scrinio pectoris per le implicazioni che contiene. Quello della "terza morte di Dio" come ci dice André Glucksmann, filosofo francese noto per il suo impegno contro i mali della nostra epoca: la prima sul Golgota, la seconda filosofica siglata da Nietzsche, la terza quella religiosa. Di questa responsabile è l'Europa: "Perchè le radici del nichilismo si trovano nel vecchio continente. L'America ha ancora voglia di credere. C'è una forza etica che resiste, in grado di reagire davanti all'orrore. In Europa, questa forza non c'è più" E le cause "non sono né filosofiche, né economiche, né sociali... ma etiche e religiose" perché Chiese e pensiero laico non hanno saputo rispondere al nichilismo del Novecento. "Mi spaventa il silenzio ideologico di fronte alla realtà".

    Merita di essere tenuto in particolare considerazione anche l'Elzeviro:" Tra Morte di Dio e Islam. La tecnica sconfigge chi la impugna" del filosofo Emanuele Severino, dove evidenzia che l'Islamintende servirsi della razionalità scientifico-tecnologica tipica figlia della nostra civiltà legata alla morte di Dio, per salvaguardare e rafforzare i propri valori. Ma mentre in Occidente il Cristianesimo "è andato incontro a una critica sempre più serrata da parte della cultura moderna, innanzitutto filosofica che ne costituisce comunque la punta di diamante... alla cultura islamica è invece mancata l'esperienza della cultura moderna". Per cui "la tecnica rispecchia la morte do Dio ed è quindi cavallo di Troia contro chi vuole servirsene affinché sia fatta la volontà di Dio".

    Per tanto è con forte determinazione che noi tutti dobbiamo adoperarci perché si realizzi l'auspicio di Shere Hite: "La tolleranza salverà la società del duemila. La battaglia fra il fondamentalismo e i diritti umani rappresenta un nuovo modello di scontro politico. Il confronto tra la religione autoritaria e la tradizione democratica fatta di diritti umani e di libero pensiero, incluso il femminismo, è destinato a fare eclissare nel prossimo secolo le vecchie divisioni tra destra e sinistra".

    Concludiamo con la rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci:"La mia Italia è un'Italia ideale….un'Italia seria, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto. E quest'Italia, un'Italia che c'è, anche se spesso viene zittita o irrisa o insultata, guai a che me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a che me la invade".

    Spoleto, dicembre 2001